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CASO 3

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Saved by Sara Demurtas
on April 11, 2017 at 11:28:41 am
 

CASO 3

<<Il mio velo non invade la libertà altrui>> 

 

La Corte di Giustizia Europea vieta, con una sentenza, il velo islamico sul posto di lavoro. 

La decisione ha scatenato il malcontento del mondo musulmano, soprattutto tra le donne, integrate, che già da anni si recano sul posto di lavoro indossando l'hijab. Alla sentenza segue il ricorso di due donne, una in Belgio e una in Francia. Queste ultime chiedevano di potersi recare al lavoro con il capo coperto, come vuole la loro religione. La Corte si difende dicendo che una regola che proibisce di indossare visibilmente qualsiasi segno politico o religioso non costituisce diretta discriminazione. 

La giornalista di origini tunisine Takua Ben Mohamed, 26 anni, racconta nel suo libro "Sotto il velo" tutti gli stereotipi sul velo islamico. Sostiene infatti che portare il velo è un suo diritto e indossandolo non invade la libertà di nessuno. Ogni giorno lei spiega alle gente comune (al bar, sull'autobus) perché indossa l'hijab, in quanto crede che la non conoscenza sia motivo di pregiudizio. 

Dall'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001 il velo islamico è stato connotato in maniera negativa. La protagonista racconta di essere spesso chiamata terrorista o di essere additata da persone che le chiedono se abbia lasciato una bomba sul treno. Conclude l'intervista dicendo che la decisione della Corte Europea sia un passo indietro in quanto il velo se indossato per libera scelta e da rispettare. 

 

 

Punti di vista:

 

  • Marco Ventura, uno dei più prestigiosi studiosi di diritto delle religioni in seguito alla sentenza della Corte Europea, afferma: <<E' una sentenza che legittima, se si legge in maniera approfondita, una sorta di pregiudizio rispetto a quella parte di Islam che rispetta in maniera intransigente le leggi coraniche. [...] È evidente che il clima che si respira, in questa stagione, nel nostro continente e non solo, può aver pesato. Forse, dico forse, da questo punto di vista, la Corte di Lussemburgo- risponde – non ha voluto disattendere le attese di quella parte d’Europa che non rinuncia a mettere pressione su quel pezzo più intransigente di Islam. Non darla, cioè, vinta a quell’Europa della multiculturalità che si mostra più ottimista verso la possibilità d’ integrare mussulmani integralisti. [...]  Si tratta di una sorta di discriminazione indiretta con delle norme che appaiono formalmente corrette, ma in realtà si prestano poi a letture che rischiano di ledere i diritti, proprio sul piano del rispetto delle diverse pratiche religiose >>.

 

  • John Dalhuisen, direttore per l'Europa e l'Asia centrale di Amnesty International, ha dichiarato in seguito alla sentenza sopracitata: <<La sentenza deludente della Corte di giustizia europea offre maggiore libertà d’azione ai datori di lavoro per discriminare le donne – e gli uomini – sulla base del credo religioso. In un'epoca in cui l'identità e l'aspetto sono diventati un terreno di scontro politico, le persone hanno bisogno di maggiore protezione contro il pregiudizio, non minore>>.

 

 

 

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