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TEMATICA 8

Page history last edited by Claudia Satta 6 years, 10 months ago

TEMATICA 8

Mobbing e sessismo 

 

Nell’ambito lavorativo, la parola mobbing assume il significato di pratica persecutoria o, più in generale, di violenza psicologica perpetrata dal datore di lavoro o da colleghi (mobber) nei confronti di un lavoratore (mobbizzato) per costringerlo alle dimissioni o comunque ad uscire dall’ambito lavorativo (caso 5). I motivi della persecuzione possono essere i più svariati: invidia, razzismo, diversità religiosa (caso 3) o culturale rispetto al gruppo prevalente, carrierismo sfrenato, o semplice gusto nel far del male ad un'altra persona. 

Il mobbing, un fenomeno per decenni sommerso e negato in Italia, ove soprusi, atti di persecuzione e vessazione contro donne lavoratrici ad opera di uomini (colleghi, superiori, datori di lavoro) si verificano da sempre. Come altre forme di violenza, può considerarsi come una manifestazione di potere relazionale storicamente diseguale fra donne e uomini; uno dei principali meccanismi sociali attraverso i quali le donne sono costrette ad occupare una posizione subordinata rispetto agli uomini.

Sono state individuate principalmente due tipologie di mobbing:

  • verticalemesso in atto da parte dei datori di lavoro verso i dipendenti per indurli a licenziarsi da soli. Spesso si tratta di vere e proprie "strategie aziendali" per le quali è stato coniato il termine di Bossing in cui sono i dirigenti dell’azienda ad agire;
  • orizzontale: praticato dai colleghi di lavoro verso uno di loro per varie ragioni come la gelosia verso colleghi più capaci, la necessità di alleviare lo stress da lavoro oppure trovare un capro espiatorio su cui far ricadere le disorganizzazioni lavorative.

Spesso l’attività di mobbing sconfina con vari reati (molestie, ingiurie, violenza privata, lesioni personali, violenza sessuale ecc) allorchè i soprusi si manifestano attraverso commenti ingiuriosi a sfondo sessista, toccamenti non voluti in zone erogene, fino a veri e propri assalti fisici e a violenza sessuale. Casi più frequenti sono quelli del capo che convoca la lavoratrice sottoposta e la tormenta con atti a sfondo sessuale chiaramente non graditi, ricorrendo anche a ricatti più o meno espliciti relativi al rapporto di lavoro (conferma di contratto a termine ovvero minaccia di licenziamento, passaggio da part time a full time o viceversa, riconoscimento di un superiore inquadramento o dequalificazione ecc). Nel caso di lavoratore pari grado, l’attacco sarà, invece, prevalentemente svolto attraverso palpeggiamenti subdoli e insulti sessisti che tendono a mortificare la donna, isolandola rispetto alla generalità dei colleghi. 

Il mobbing psicologico, invece, consiste normalmente nella sistematica svalutazione dell’operato della vittima (vedi tematica 7), accompagnato da ripetuti commenti negativi, richiami e sanzioni disciplinari, dequalificazione e demansionamento rispetto a compiti precedentemente svolti, spesso come forma di ritorsione a seguito di assenze per malattia o per maternità. Soprattutto in quest’ultimo caso non è raro che la donna, rientrando al lavoro, trovi i suoi compiti precedenti assegnati ad altri, oppure si trovi preposto un collega precedentemente pari grado o persino un neo assunto (magari da lei stessa formato) che le faccia sentire tutto il peso dell’autorità acquisita. 

Il mobbing va considerato violenza sessista perché è praticato da uomini e subito da donne; ha l’effetto di provocare nella vittima disturbi psicofisici anche gravi, inviando contemporaneamente il messaggio che il luogo di lavoro è territorio del potere di un sesso contro l’altro. 

 

 

 

 

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