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TEMATICA 3

Page history last edited by Claudia Satta 6 years, 10 months ago

TEMATICA 3

Xenofobia

 

Xenofobia (da ξένοϚ, straniero, e ϕόβοϚ, paura) significa paura dello straniero, paura che si manifesta attraverso comportamenti e atteggiamenti di rifiuto nei suoi confronti e nella produzione del pregiudizio (vedi tematica 1). La xenofobia individua una minaccia e afferma la superiorità del nazionale sullo straniero (caso 2), dell'identità sull'alterità (vedi tematica 2). È quindi un rapporto, sicuramente negativo, fra due entità sociali definite entrambe globalmente piuttosto che secondo una dimensione sociale particolare. La xenofobia prende di mira chi appartiene a un'altra società.

Occorre che lo straniero sia vicino, in qualche modo interno, che condivida lo stesso mondo, perché la xenofobia acquisti forza, sia perché lo straniero invade la società dello xenofobo, sia perché si colloca in una condizione di superiorità o d'inferiorità al suo interno.

L'etimologia del termine fornisce due indicazioni importanti:

  •  ci avverte che l'esigenza di allontanare, discriminare, emarginare lo straniero, di sterminarlo o di muovergli guerra, nasce dalla paura;
  •  ci dice che per dar conto della xenofobia occorre analizzare il significato della figura sociale dello straniero, la sua funzione caratteristica, che è quella di permettere la comunicazione fra culture diverse.

Lo straniero è qualcuno che manifesta nel suo aspetto fisico e/o nei suoi tratti culturali, nei modi e nel linguaggio che utilizza, di non appartenere all'identità culturale, spesso politicamente definita, del territorio in cui si trova. 

L'incontro fra lo straniero e l'autoctono è dominato da una sostanziale ambivalenza: lo straniero è nello stesso tempo ammirato e disprezzato, accolto e respinto, ricercato ed evitato. Questo incontro genera una forte reazione emotiva, che è insieme negativa e positiva, di accoglienza e di rifiuto, e che richiede di essere elaborata attraverso norme che fissino lo statuto dello straniero. 

Quando si parla di xenofobia, si parla di un solo aspetto, quello negativo, di un sentimento che nella maggior parte dei casi si presenta accompagnato dal suo opposto. Per questo xenofobia e razzismo, anche se spesso i confini fra i due fenomeni sono incerti, non devono essere confusi. Nel razzismo vive solo la componente negativa, distruttiva, di un insieme di atteggiamenti e comportamenti, tipicamente contraddittori, che sorgono in occasione dell'incontro fra soggetti culturalmente diversi. L'etnocentrismo (vedi tematica 4) - la spontanea sopravvalutazione della propria identità culturale, accompagnata dal disprezzo per le identità culturali diverse, dal frequente disconoscimento all'altro dei tratti stessi dell'umanità - sembra essere una caratteristica universale delle società umane.

Vi è un'ambivalenza che accompagna quasi sempre e con conseguenze positive la comunicazione fra culture diverse. Questa comunicazione sviluppa tutta la ricchezza che l'incontro consente quando mantiene uno squilibrio ragionevole fra chiusura e apertura, che garantisce sia la protezione dell'identità che la sua messa in discussione. Lo squilibrio è produttivo quando il rilancio della comunicazione fra diversi non compromette eccessivamente la difesa dei contenuti culturali reciproci delle identità che si confrontano. L'insieme di queste riflessioni suggerisce che l'ambivalenza verso lo straniero costituisce la condizione perché questa comunicazione si realizzi. Si può allora avanzare l'ipotesi che la sola xenofobia costituisca una patologia nei processi innescati da uno squilibrio continuo e necessario fra bisogni opposti. 

La società emargina lo straniero ma ne ha bisogno per alimentare la propria solidarietà interna, per assolvere quei compiti che gli autoctoni rifiutano o non possono svolgere, per comunicare con l'esterno (vedi tematica 5).

Il processo attraverso il quale un gruppo culturalmente definito struttura il proprio spazio sociale porta a definire le lontananze e le vicinanze che i suoi membri devono rispettare in ragione delle differenze culturali.
La vita di un gruppo richiede l'affermazione della sua identità culturale, cui corrisponde l'emarginazione dei portatori di identità culturali diverse, e nello stesso tempo l'apertura verso l'altro da sé, verso il cambiamento, cui corrisponde l'inclusione dello straniero nella propria cerchia. Nella figura dello straniero convivono emarginazione e integrazione, esclusione e inclusione: lo straniero non è mai completamente accettato né mai completamente respinto. Nei suoi confronti si nutre normalmente un pregiudizio (vedi 
tematica 1).

La ragione per cui l'altro è respinto non è semplicemente il suo status di straniero; costui viene respinto perché minaccia l'identità e l'unità stessa della società, i suoi principi costitutivi, siano essi religiosi (caso 3), politici o economici.

Accettare lo straniero significa allora accettare in se stessi e nella propria società tutto ciò che, secondo 'ragione', dovrebbe essere respinto e cancellato.
Generalizzando queste osservazioni, possiamo dire che la xenofobia, che non è solo il rifiuto dell'altro in quanto diverso ma anche in quanto costituisce una minaccia per i valori universali di cui ci si sente depositari, può essere superata se si rinuncia a proclamare la propria universalità e il particolarismo dell'altro, se si riconosce in se stessi come negli altri una mescolanza di universalismo e particolarismo.

 

 

 

 

 

 

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